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SQUILIBRI DELL'EUROZONA / Un po' di «feta» nella dieta tedesca

di Martin Wolf

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10 Febbraio 2010

La crisi finanziaria del 2009 sta tramutandosi nell'angoscia di bilancio del 2010, soprattutto nella zona euro. Gli spread fra i tassi di interesse sui titoli pubblici greci e i bund tedeschi ha toccato a fine gennaio i 3,86 punti percentuali. Il pericolo nasce da una crisi di fiducia capace di autoalimentarsi, che avrebbe conseguenze drammatiche per altri membri vulnerabili dell'Unione monetaria. L'attenzione si è focalizzata soprattutto su quello che potrebbe succedere in assenza di una soluzione alla crisi, con voci di interventi di salvataggio, default o addirittura abbandoni dell'euro. Ma che cosa bisognerebbe fare per risolvere la crisi senza arrivare a una calamità del genere? Il segreto sta nella domanda, bellezza.
È opinione comune in Eurolandia che le crisi sia il risultato dell'incapacità politica dei paesi della periferia. Il dito in particolare viene puntato su politiche di spesa troppo allegre ed economie troppo rigide. La pena per questi peccati è l'austerità. Poi, dopo una lunga penitenza, la pecorella smarrita tornerà nell'ovile della stabilità.
La Grecia interpreta alla perfezione il ruolo del peccatore, come ho scritto tre settimane fa: il governo di Atene ammette che il paese ha falsificato le cifre. Anche Irlanda e Spagna hanno subìto un drammatico deterioramento della situazione dei conti pubblici, con un disavanzo di bilancio che secondo le previsioni dell'Ocse subirà un peggioramento rispettivamente di oltre il 12 e il 10% del Pil fra il 2007 e il 2010. Questi paesi non rientravano nel novero dei peccatori finanziari di lungo termine.
È opinione comune anche che una volta apportati gli aggiustamenti ai conti pubblici e introdotta la flessibilità, le economie interessate potranno ritornare a crescere, come ha fatto la Germania dopo gli aggiustamenti di inizio decennio. Inoltre, recita sempre l'opinione comune, l'esistenza di enormi squilibri nelle partite correnti nella zona euro non ha alcuna attinenza né con il problema né con la soluzione. Non c'è motivo di preoccuparsi per gli squilibri interni alla zona euro, come non c'è motivo di preoccuparsi degli squilibri fra gli Stati Uniti.
Questa opinione comune è un'emerita sciocchezza. Finché le autorità non se ne renderanno conto, Eurolandia sarà condannata a tensioni enormi. Finché la Bce tollererà una domanda debole nella zona euro in generale e finché i paesi chiave, in primis la Germania, continueranno a tenere in piedi grandi eccedenze negli scambi, sarà impossibile per i membri più deboli della moneta unica sfuggire alla trappola di insolvenza. Il loro non è un problema che possa essere risolto solo con l'austerità di bilancio. Serve un incremento forte della domanda esterna per i loro prodotti.
L'aspetto che accomuna i paesi in difficoltà è il fatto di aver goduto di boom economici alimentati dal credito. Come ho già detto, il settore privato in questi paesi ha tirato troppo, spendendo molto di più di quello che guadagnava, spingendo in alto gli introiti fiscali, riducendo la spesa pubblica e creando disavanzi commerciali enormi ma che venivano finanziati senza problemi. Tutto questo ha apportato benefici anche alle esportazioni e all'attività economica dei partner commerciali.
Poi è arrivato il tracollo. La disponibilità interna di debitori affidabili nelle economie alimentate dalla bolla è precipitata. La stessa sorte ha subìto la spesa privata e, come conseguenza diretta, la situazione dei conti pubblici. Ai forti disavanzi con l'estero (anche se in calo) ha corrisposto la sostituzione dell'indebitamento privato con l'indebitamento pubblico.
Che cosa succederebbe se anche il governo tagliasse la spesa? In un'economia che non può ricorrere a strumenti monetari o al tasso di cambio per compensare l'austerità, qualunque riduzione della spesa condurrà verosimilmente come minimo a una riduzione equivalente della produzione sul breve termine (un "moltiplicatore" di uno). Se si volesse cercare di ridurre un disavanzo di bilancio del 10% del Pil attraverso tagli della spesa sarebbe necessaria di fatto una riduzione del 15% del Pil, tenuto conto del calo delle entrate. Anche il Pil si ridurrebbe del 15 per cento. Come ha sottolineato Desmond Lachman dell'American Enterprise Institute sull'Economists Forum del sito del Financial Times, il calo potrebbe essere ancora maggiore.
Sembrano prospettive cupe, e lo sono. E i paragoni con la "disinflazione competitiva" della Germania di inizio decennio? La risposta è che sono irrilevanti. Il disavanzo di bilancio in Germania raggiunse, al suo apice, nel 2003, solo il 4% del Pil. In secondo luogo, la Germania è riuscita a compensare la grande debolezza della domanda interna con una domanda esterna forte, sia dall'interno che dall'esterno di Eurolandia. Ben il 70% dell'incremento del Pil tedesco fra il 1999 e il 2007 è venuto dall'incremento delle esportazioni nette.
La Germania deve ricambiare il favore. Per essere più precisi, l'unico modo per i paesi di Eurolandia di ridurre drasticamente gli enormi deficit senza far collassare l'economia è quello di mettere in piedi un'altra bolla creditizia nel settore privato, o di potenziare fortemente le esportazioni. La prima soluzione non è consigliabile, per la seconda serve maggiore competitività e una domanda estera vivace. È difficile riguadagnare competitività in un momento in cui l'euro è forte, in parte perché la Germania è molto competitiva e anche perché l'inflazione della zona euro è molto bassa.
  CONTINUA ...»

10 Febbraio 2010
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